Pensioni – Il conto è salato per le casse dello Stato, ecco perché
Pensioni – Il conto è salato per le casse dello Stato, ecco perché
Quota 100 e le pensioni baby, infatti, sembrano essere finite nel mirino della Commissione, che potrebbe chiederne una revisione in “cambio” di decine e decine di miliardi del piano “Next Gen EU”. Un’ipotesi contemplata, ad esempio, dal Centro Studi della CGIA di Mestre che, dati INPS alla mano, ha calcolato quanto costano ogni anno le decine di migliaia di baby pensionati che vivono nel nostro Paese. Un vero e proprio esercito che, anno dopo anno, presenta un conto piuttosto salato alle casse dell’Istituto di Previdenza.
Per condurre la sua analisi il Centro Studi CGIA ha preso in considerazione i dati resi pubblici dall’INPS riguardanti l’età media dei pensionati e gli anni di godimento del trattamento pensionistico. In particolare, secondo la CGIA i baby pensionati sono tutte quelle persone ritirate dal mondo del lavoro prima del 1980 e che, dunque, non timbrano più il cartellino da oltre 40 anni.
Si tratta di circa 562 mila persone che, grazie a una legislazione particolarmente favorevole, sono andati in pensione a cavallo tra la metà e la fine degli Anni ’70 quando avevano appena compiuto 40 anni. Secondo le statistiche rilevate dalla CGIA, infatti, mediamente i dipendenti pubblici hanno lasciato il posto di lavoro a 41,9 anni, mentre nella gestione privata l’età media di decorrenza del trattamento pensionistico è scattata dopo (ma non di molto, a 42,7 anni).
Dell’oltre mezzo milione di baby pensionati, l’80% circa è composto da donne (446 mila su 562 mila), ma con un’età media superiore rispetto ai “colleghi” maschi (43,2 anni per le donne, 40,6 anni per gli uomini).
Il conto pagato dall’INPS ogni anno, come è facile immaginare, è piuttosto salato. Secondo la CGIA, infatti, i 562 mila baby pensionati costano 7 miliardi di euro, ossia lo 0,7% del PIL nazionale. Una cifra analoga a quanto si spende per pensione e reddito di cittadinanza; 2 miliardi in meno della tanto vituperata Quota 100.
“Non c’è nulla da stupirsi – afferma il segretario della Cgia Renato Masonse – se nello scacchiere europeo l’Italia, anche al netto delle uscite assistenziali, sia da anni tra i paesi che spendono di più per la previdenza, sacrificando altri settori come quello dell’istruzione, dove siamo tra le realtà che in Europa investono meno”.
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