Milan, lunghissima intervista concessa al direttore Moncada

Tanti spunti rossoneri, nell’intervista fiume da parte di Geoffrey Moncada, direttore tecnico del Milan, ai microfoni di Milanews, su diverse tematiche, tra campo e mercato:

Com’è la tua giornata qua a Milanello?
“Faccio subito un meeting con la mia squadra, sia sul programma della giornata che della settimana. Parliamo con Zlatan, con Kirovski di tutte le cose che dobbiamo fare. Anche con il team manager. Si parla delle partite che abbiamo visto e di tanto. Abbiamo un gruppo giovane, che ha bisogno d’essere seguito. È importante parlare con loro non solo di calcio, ma anche delle cose che gli accadono o che gli servono fuori dal campo. Per aiutarli. Milanello è la casa della nostra parte sportiva, dove c’è anche Milan Futuro”.
Anche per capire un po’ l’umore e instaurare un rapporto umano…
“Sì, lo facciamo. È un gruppo giovane che ha bisogno di vicinanza, di parlare. Anche di altre cose, non solo di calcio. Proviamo a fare questo con il mister e con Zlatan, anche con tutti i manager: abbiamo creato un gruppo di lavoro anche per le famiglie. È importante. Lavoriamo insieme tutti i giorni, abbiamo un bel team, siamo giovani, abbiamo fame, vogliamo fare di più e ci sono tante cose da fare ancora”.

Guardando alla carta d’identità, il Milan ha un gruppo dirigente molto giovane: tu hai 37 anni, Zlatan 43, Furlani 45. Sentite di essere una ventata d’aria fresca in un sistema dove molti dirigenti sono ben sopra i 50-55 anni d’età?“C’è un bel mix. C’è chi come me viene dal mondo dello scouting e dei rapporti con i giocatori, c’è un uomo di finanza come Giorgio che è un vero e proprio crack per quanto concerne la parte economica e poi c’è Zlatan che ha il punto di vista dell’ex grande calciatore. Penso che solo lavorando tutti insieme si possano fare bene le cose, un singolo, da solo, non può farcela. Tutti i top club, in Europa, lavorano così”.

Qual è il rapporto con Ibrahimovic?
“Ci sentiamo tutti i giorni. Ci vediamo a Casa Milan, a Milanello, andiamo a mangiare insieme. Abbiamo un buon rapporto, molto diretto. Vuole sapere le cose senza perdere tempo, mi piace. Siamo insieme tutti i giorni”.
Vi confrontate anche sui giocatori da prendere?
“Sì, piace anche a lui. Adesso gli ho aperto un profilo su una piattaforma professionale per analisi dati e video, così può vedere anche lui i giocatori”.

Però per prendere Morata, che vi ha portato tanto a livello di leadership, non avete avuto bisogno di nessun algoritmo.
“Questo è l’esempio perfetto di “non algoritmo”. Abbiamo preso il capitano della nazionale spagnola, che ha vinto tutto e che ha giocato già anche in Italia. Ero totalmente convinto di Alvaro, ero sicuro che fosse il ragazzo perfetto per noi. Ha una mentalità importante nello spogliatoio, da leader”.

Hai fatto tu la prima chiamata al giocatore?
“No. Prima ho sentito l’agente, c’è anche questo lavoro da fare (ride, ndr). Zlatan poi ha parlato con il giocatore perché lo conosceva, e poi abbiamo parlato insieme. Mi piace questo esempio perché non arriva dai dati. L’anno scorso ha fatto 22 gol all’Atletico Madrid. Per noi è ancora un giocatore molto molto interessante. Sono contento, lui si sente molto bene qua”.

A che punto siamo con i rinnovi di Theo Hernandez e Maignan?
“Abbiamo cominciato da due mesi le discussioni. Posso dire che siamo messi bene. Non so quale sarà il primo ma abbiamo cominciato molto bene. Sono veramente tutti contenti, non ho visto nessuno che voglia andare via. Potete chiedere a loro, sono tutti contenti qui al Milan”.
Come ha confermato, nei giorni scorsi, Reijnders…
“Ribadisco: siamo e sono contenti al Milan. Stiamo lavorando. Dobbiamo provare a chiudere le cose che abbiamo aperte”.

E i rinnovi sono frutto anche di quanto fai star bene il ragazzo…
“Esatto, non c’è solo la parte del campo. Noi dobbiamo metterli nelle migliori condizioni possibili per poter fare bene, ma anche costruire un rapporto diretto con noi. Con me e Zlatan non hanno problemi. È vero, noi siamo giovani a livello anagrafico, ma con noi possono parlare in maniera diretta e veloce. Possiamo discutere e siamo qua per aiutare la squadra”.
Oggi sei direttore tecnico, ma nasci come scout. Quanto c’è ancora di quel ruolo dentro di te e in questo Milan?
“Quando ero capo scout, quasi ogni weekend ero fuori a vedere partite. In Italia o all’estero. Adesso non posso star via tutto quel tempo perché ho altre responsabilità e, ad esempio, se giochiamo il sabato, viaggio la domenica a vedere una partita. Io voglio vedere i giocatori nel dettaglio, per questo cerco di muovermi in silenzio. Per evitare che si creino pressioni sul ragazzo che io voglio vedere live per poter valutare tante cose”.

Quando il Milan ha bisogno di un giocatore, quali sono gli step?“In primis si parte dall’analisi della nostra squadra e sulle aree da sviluppare e migliorare. Non usiamo solo l’algoritmo come si è narrato per tanto tempo. Non è una cosa vera. Noi abbiamo un database che ti aiutano a vedere giocatori di altri paesi. Tu puoi essere il più grande scout del mondo, ma non puoi vedere tutti i campionati. I dati ti aiutano a individuare dei profili e a darti degli input su certi giocatori, giovani o meno, e possono dirti che ci sono profili che rientrano nella tua ricerca anche in altri campionati”.

Quando si parla del mercato del Milan si parla di dati, si parla di algoritmo, si parla di moneyball. Vi affidate totalmente a questi strumenti oppure lavorate anche tanto sul campo?“I dati ti dicono se c’è un giocatore interessante da vedere. E lo guardiamo prima in video, con tutti gli scout che lo osservano, e poi magari lo andiamo a vedere dal vivo. Però prima di andare a vederlo in campo dobbiamo conoscere il giocatore”.

Quante persone del tuo team lavorano su questa cosa?
“Io ho a disposizione dieci scout, cinque che sono in Italia e cinque che sono all’estero”.

Loro ti portano un “pacchetto” sul giocatore già pronto oppure sono specializzati sul segnalarti un profilo che poi andrai a vedere?
“È un mix di tante cose. Abbiamo una metodologia di lavoro sulla parte video, hanno una zona specifica da visionare. Prima guardano il giocatore in video per tutta la settimana, poi nel weekend vanno a vederlo dal vivo per confermare o meno le impressioni”.
Da lì vai a vederlo anche tu dal vivo?
“Sì, ci provo”.

Prima di acquistare un calciatore devi averlo visto dal vivo, giusto?
“Sì. Impossibile chiudere un calciatore senza prima vederlo live. Io comunque ho tanta fiducia nei miei scout, dobbiamo averla per lavorare insieme. Magari a me piace tanto un giocatore, però magari nove scout mi dicono di no, che non è bravo. È importante essere d’accordo tutti insieme. Vederli dal vivo è importante, vedi tante cose… In video si scoprono tante cose, ma aspetti fondamentali come la velocità, l’impatto nei duelli… Quelle non si giudicano in video”.
Prendete in considerazione anche come si allenano?
“Sì. Per esempio anni fa sono andato a Strasburgo a vedere Youssouf Fofana dal vivo, perché l’allenamento era aperto. Oggi invece è molto difficile entrare in un centro sportivo. È bene guardare l’allenamento, ma dipende anche che tipo di allenamento vai a vedere. Se andiamo dopo una partita non ti aiuta”.

E cos’è che hai notato di Fofana che ti aveva colpito?
“Avevo visto un giovane che aveva tanta fiducia, che lavorava tanto in allenamento. Poi è stato interessante anche il suo rapporto con i tifosi, è un ragazzo che è sempre sorridente e aperto. Mi è piaciuto, era il suo primo anno a Strasburgo in Ligue 1: subito titolare, non ha fatto prima un percorso nel settore giovanile. È stato interessante vedere come si allena”.
Quindi nei vostri database quand’è che è comparso per la prima volta il nome di Fofana?
“Sono arrivato a gennaio 2019 a Milano, Fofana l’avevo già visto quando ero al Monaco, lui giocava nella seconda squadra dello Strasburgo. Ho portato il mio database a Milano e l’abbiamo seguito. Ha cominciato a giocare tante partite in Ligue 1: lì inizia ad essere difficile perché sono arrivati anche club tedeschi e inglesi. L’abbiamo comunque seguito fino al Monaco”.

Quindi nel tuo database c’è tanto? Immagino non si tocchi, sei geloso?“No. Ci sono relazioni ed informazioni di tanti anni, ti aiuta a vedere la crescita di un giocatore. Dobbiamo essere sempre umili quando visioniamo un calciatore: magari non ci piace adesso, ma dopo due o tre anni finalmente ci colpisce. Mi piace tanto cambiare idea, questo è importante”.

Leao è entrato nel tuo database già dalle giovanili dello Sporting?
“Sì, mi ricordo che l’ho visto contro il Belenenses con il Lisbona. Penso avesse 17 anni. Giocava come numero 10, da seconda punta. Era molto libero, ho visto un profilo molto interessante: alto, longilineo, tecnicamente super. Ha fatto gol con una fiducia incredibile. Era da seguire. Poi ovviamente l’hanno visto tanti altri scout, non sono di certo io il primo ad averlo visto. Però sai, vai a vedere una partita di U17 in Portogallo e vedi un ragazzo così… Lo segui subito”.
E poi nel 2019 è arrivato al Milan? L’hai segnalato tu? Ci spieghi com’è successo?
“Abbiamo fatto una shortlist, c’era bisogno di prendere un nuovo esterno sinistro. C’erano bei nomi. C’era Leao, c’era Malen, c’era Marcus Thuram che era al Guingamp… C’era questo tipo di profilo, fisico. Oggi Leao, Malen e Thuram giocano a livelli alti e stanno facendo bene. Ma quattro-cinque anni fa non era così scontato. Leao giocava al Lille e aveva fatto solo sei mesi da titolare e l’abbiamo portato a Milano. Non è facile… In generale si è sempre molto duri con i giocatori ma per me bisogna lasciargli sempre un po’ di tempo”.
Il Direttore dell’AZ ha detto che Reijnders è un giocatore forte, hanno dormito tutti tranne il Milan. Come ci siete arrivati?
“Ci sono degli aspetti, a volte, che ti instillano il dubbio. Reijnders ci ha messo tanto tempo per arrivare ad alti livelli. Non ha giocato subito all’AZ: era nella seconda squadra ed è andato in prestito. E allora ti chiedi come mai all’AZ, che normalmente mette subito in campo chi è bravo, non ha giocato? Questo era il nostro dubbio. Ma era ovviamente nel nostro database: abbiamo creato video, abbiamo analizzato i dati, ci sono stati tanti report dove l’abbiamo visto sempre bene. Non ha fatto male e né ha fatto cose da top top. Ha fatto sempre bene. Però l’ultimo all’AZ ha giocato in Conference League: l’ho visto contro la Lazio, sono andato a vederlo anche contro il West Ham… E lì mi sono detto che questo giocatore sa fare tutto, corre tanto, tecnicamente è bravo. È sempre positivo, va sempre in avanti. Mi è piaciuto come profilo, ho pensato che potevamo portarlo al Milan e vedere poi come si sarebbe sviluppato. A giugno abbiamo fatto un meeting con Stefano Pioli, a casa sua a Parma. Mi ha detto subito che aveva bisogno di un centrocampista con qualità, un numero 8 di regia, un profilo versatile. Allora gli ho fatto vedere Reijnders, Stefano mi ha detto subito che gli piaceva. Da lì siamo andati avanti veloce nella trattativa”.
E quest’anno sta trovando anche il gol…
“Penso che possa arrivare a 10 gol facilmente. Però può fare anche assist, che sono altrettanto importanti. Tutti parlano di gol, vero, però anche trovare l’ultimo passaggio è importante”.

E quindi si ritorna ancora ai dati… Quanto vi aiutano ad analizzare le prestazioni dei singoli e della squadra?
“Con il mister guardiamo le fasi della squadra e usiamo i dati: come pressiamo, che tipo di pressing facciamo, Expected Goals (dato che misura la probabilità di un tiro di diventare un gol, ndr), Expected Assist (dato che misura la probabilità di un passaggio di diventare un assist, ndr), tutte le chance che creiamo per arrivare a fare gol, perché non abbiamo fatto gol… C’è un mix di video e dati. Facciamo questo tipo di lavoro ogni settimana per capire cosa va bene e cosa non va bene”.
Questo tipo di lavoro vi aiuta a capire anche quale giocatore ha senso che rimanga al Milan per continuare un percorso e chi invece magari non può dare altro?
“Ti faccio un esempio. Su un periodo di due mesi puoi pensare che un ragazzo abbia fatto male, però comunque vuoi controllare i dati. Quindi vedi che magari non ha fatto bene ma comunque ha creato tante cose. Questo ti aiuta perché capisci che almeno fa qualcosa. Ci sono giocatori che anche dai dati non fanno niente, zero. Non provano dribbling, tiri, duelli. Quindi i dati ti aiutano, sì. Però la cosa impossibile da vedere con i dati è il margine di crescita di un giocatore. Come va a svilupparsi dopo due-tre anni, questo è difficile da prevedere. È un’incognita, per questo è importante il mister, lo staff, gli scout che guardano dal vivo i giocatori. Osservandolo live magari capisci che può migliorare, può mettere su ancora un po’ di muscoli, può lavorare sul piede debole. Ci sono tante cose su cui i dati non possono aiutarti”.
In tutto questo c’è Fonseca. Come siete arrivati a lui?
“Paulo ha uno stile di gioco, l’abbiamo visto al Lille, che il Milan penso debba avere. Giochiamo a Milano e a San Siro, dobbiamo controllare il gioco e la palla. Dobbiamo essere solidi su questi punti. Paulo ha una bella capacità di lavorare, fa allenamenti interessanti. Lavora individualmente e col collettivo. Per esempio può lavorare con tutti i centrocampisti: dopo l’allenamento prende quattro-cinque centrocampisti e fa un lavoro specifico con loro. Siamo a novembre, a fine stagione sono sicuro che vedremo tanti giocatori che avranno fatto uno step enorme con lui”.
Questo step è per consolidare il Milan al top, no?
“Le top 5 europee sono il City, il Liverpool, il Bayern ecc. Noi vogliamo provare almeno ad avvicinarci, ma non è facile. Anche il Liverpool ci ha messo otto anni per arrivare a questo livello, prima non era così. Hanno fatto un lavoro importante. Però hanno avuto una strategia con un coach che ha una metodologia di gioco precisa. Noi vogliamo fare questo tipo di metodologia di gioco con un coach che ha le idee chiare e sviluppare i giocatori”.

Quindi le scelte di Fonseca, ad esempio la gestione di Leao, sono sempre supportate dalla dirigenza?“Sì, lavoriamo insieme ogni giorno. E adesso penso che Leao sia totalmente diverso. Basti vedere le sue prestazioni a Madrid, a Cagliari e in nazionale. Sono situazioni che possono succedere, non si è sempre perfetti altrimenti sarebbe troppo facile. Bisogna accettare che i calciatori possano avere momenti di difficoltà e supportarli come abbiamo fatto io e Zlatan con Rafa, dandogli supporto e un confronto costruttivo. Siamo una famiglia”.

Theo invece può diventare ancora più leader e trascinatore?
“Lo sarà. Lui non sa neanche la potenzialità che può avere. Un terzino sinistro così. Penso che avrà una grande carriera davanti, è ancora giovane”.
Avevi anche Theo nel database?
“Ce l’avevo da quando giocava nell’Atletico Madrid in Youth League, l’ho visto quando ero al Monaco. Però poi l’ha preso il Real Madrid. Dopo l’abbiamo seguito all’Alaves e alla Real Sociedad: ha avuto dati incredibili. Ha ancora un margine importante. Fa già tanti gol e assist, è molto difficile trovare un terzino sinistro così”.

Stai già cominciando a vedere cosa serve a questo Milan?
“Sì. Abbiamo già cominciato a parlare con i vari profili. Con Ibra, con Giorgio Furlani, con il mister, con Gerry Cardinale… Abbiamo già parlato. Più o meno già sappiamo i profili che vogliamo, ma credo che sarà più per giugno. Cominciamo dai profili che mancano, poi facciamo una shortlist”.
Non puoi dire quelli che mancano?
“No, non ancora. Tra un po’ sì, ma se parlo ora a novembre diventa difficile per noi. Magari nei prossimi weekend vado via per vedere questi giocatori, vado con gli scout”.

Quindi adesso bisogna seguirti e vedere dove ti accrediti?
“Magari cambio nome, è più facile”.

Fofana ha detto che c’è anche il Milan per lo scudetto, ma bisogna lasciarvi un po’ di tempo.
“Sì, sono sicuro che questa squadra ha margine per questo”.

Ma già quest’anno?
“Sì. Abbiamo sofferto nelle prime partite però abbiamo visto che nei big match, contro l’Inter e contro il Real Madrid, siamo presenti, abbiamo visto veramente un bel Milan. Dobbiamo puntare a vederlo sempre mettendo un po’ più di concentrazione anche nelle altre partite. È una cosa mentale. Facciamo tutto per arrivare su questa strada”.
Pulisic è sicuramente uno dei colpi migliori degli ultimi due anni. Come l’avete scelto?
“Al Dortmund era un giocatore pazzesco, veramente forte. Il Chelsea l’ha preso per questo, è uno che può giocare a destra, a sinistra, da numero dieci, dietro la punta. In Germania aveva dati impressionanti, al Chelsea no. Pensavamo che non fosse possibile che un calciatore del genere non facesse performance di alto livello in Premier League. Quando abbiamo perso Brahim Diaz è uscito subito questo nome, era una possibilità da fare in quel mercato. Il timing fa tanto. Magari due anni prima sarebbe stato impossibile. Ma quando c’è lo spazio per fare un giocatore così devi prenderlo subito”.

Tu in che ruolo lo vedi? Esterno o in mezzo?
“L’anno scorso da esterno destro ha fatto la stagione più bella della sua vita. Oggi però magari abbiamo bisogno di lui come trequartista”.

Qual è l’acquisto che più ti da ha dato soddisfazione qui al Milan? Magari per la trattativa che è stata particolare…
“Tijji Reijnders. Era un ragazzo che è uscito fuori dopo. Lo abbiamo seguito tanti anni nella seconda squadra dell’AZ. Ero andato a vedere la Coppa del Mondo U20 in Argentina, avevo già conosciuto il suo procuratore in Italia. Avevamo parlato di Reijnders e la trattativa è cominciata in Argentina, non è cominciata in Olanda”.
Girare allora serve?

“In Argentina sempre. Come per Enzo Fernandez, ero sempre in Argentina. La trattativa per Reijnders comunque è iniziata in Argentina, a maggio. Non è stato facile trattare con un club olandese, è stata brava la società”.

Ci hai parlato di scouting e osservazione, invece da Direttore Tecnico che responsabilità hai?
“Da quando ricopro questo ruolo ho una relazione più approfondita con staff e mister, facciamo tante video analisi. Mi piace parlare con loro di tattiche, di come giochiamo e di cosa possiamo fare. Poi c’è la parte “da spogliatoio” con i giocatori, chiedergli come va in famiglia. C’è un mix: sono a Milanello al mattino, a Casa Milan, in ufficio, nel pomeriggio. Sono ancora giovane, devo fare e imparare ancora tante cose. Non posso fare solo una cosa o solo l’altra. È importante essere presenti qua a Milanello, così come è importante essere presente in Europa: vedere cosa fanno gli altri club, conoscere i nuovi direttori, etc. Devo cercare di sapere tutto in anticipo per fare al meglio il mio lavoro”.
Nel 2019 avete cominciato con una metodologia che in Italia era poco conosciuta, andando fuori dai canoni classici. Oggi tante proprietà che prendono club italiani stanno guardando a questa metodologia. Vi siete avvantaggiati rispetto a chi si dovrà adattare?
“La cosa che mi piace è che qui ora lavoriamo con l’area scout e l’area dati insieme. Prima i due dipartimenti lavoravano da soli. Ora lavoriamo tutti insieme e mi piace molto. Chi lavora con i dati ha capito che c’è bisogno dell’aspetto umano, noi abbiamo capito che abbiamo bisogno dei dati per vedere altre cose”.
Quanto vi ha inorgoglito, come gruppo di lavoro, essere riusciti a trattenere Leao in un momento in cui sembrava potesse succedere altro?
“Prima di tutto bisogna ringraziare la società. Hanno fatto un grande lavoro, non era facile. Quando Rafa vuole fare le cose, e l’avete visto a Madrid, nessuno può fermarlo. E per questo è sempre bene tenere un profilo del genere: è il numero 10 del Milan, sono troppo contento di averlo con noi. E non è finita qua”.

Nel processo che porta poi alla scelta di un giocatore c’è un numero minimo di partite, in casa ed in trasferta, che andate a vedere?“Minimo due partite in casa e due partite in trasferta. Un’altra cosa molto importante è fare dei meeting con l’entourage del giocatore. Magari ci sono dieci persone vicine al calciatore e devi saperlo subito. Capire che persone sono, come lavorano. Non parlo degli agenti ma della famiglia e degli amici. Per questo possiamo viaggiare anche per fare incontri con i giocatori dal vivo, non solo per vederli in partita. È un altro aspetto importante”.

Come si sceglie un giocatore da San Siro?
“Mi piace vedere le partite contro le squadre di Premier League, lì c’è una pressione mostruosa. Anche partite di club turchi o greci: un club olandese, ad esempio, che va a giocare lì è molto importante per vedere come il giocatore reagisce ad un certo tipo di ambiente. A San Siro non è facile, sì. Ma se abbiamo paura di uno stadio non va bene, quindi il nostro lavoro è anche aiutarli sotto questo aspetto”.

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