Decreto Rilancio – Le partite Iva in rivolta contro il Governo
Decreto Rilancio – Le partite Iva in rivolta contro il Governo
Partite Iva in rivolta contro il Governo Conte e il Decreto Rilancio. Tagliate fuori, in moltissimi casi, dagli aiuti, e pure penalizzate. Il decreto Rilancio ha escluso i professionisti iscritti alle casse previdenziali private dai contributi a fondo perduto. Esclusi anche i soggetti la cui attività è cessata al 31 marzo 2020, gli enti pubblici, gli intermediari finanziari, le società di partecipazione finanziarie e non, i titolari di partita IVA che hanno già ottenuto il bonus previsto dal decreto Cura Italia, e i beneficiari del reddito ultima istanza.
L’accesso ai contributi a fondo perduto sono stati concessi a chi ha subito una riduzione del fatturato ad aprile del 33% rispetto allo scorso anno, proprio a causa del lockdown e della crisi conseguente all’emergenza sanitaria. Il Governo Conte ha anche concesso l’ormai famosissimo bonus 600 euro alle partite Iva, ma questa misura è stata considerata da più parti fortemente inadeguata.
Le partite Iva sono sul piede di guerra. E dopo aver minacciato di non pagare gli F24 in arrivo, e dopo una situazione drammatica che ha già portato a ben 25 i suicidi di autonomi, artigiani e piccoli imprenditori che non ce l’hanno più fatta, ora vogliono aiuti concreti.
“Bene avrebbe fatto ad erogare compensi di sostentamento alle famiglia delle partite Iva in base al quoziente” sostiene Domenico Lucaselli di Federcontribuenti, che ha duramente criticato l’operato della squadra di Conte durante l’audizione in Senato nella Commissione industria.
Il punto è che i liberi professionisti – spiega – lavorano in media 12 ore al giorno e a 9,47 euro l’ora dovrebbero produrre un mensile di 2.500 euro, vale a dire 100mila euro di imponibile: ma è davvero così? La botola della recessione si aprirà a settembre”. Il debito cresce più velocemente “divorando i redditi in una spirale senza scampo” denuncia ancora Federcontribuenti. “Il modello economico fin qui adottato condanna ad una crisi inevitabile”.
Non solo. C’è anche la questione dei tempi di recupero, il periodo compreso tra debito fiscale/bancario e recupero del reddito, che non coincidono per chi ha subito il danno (imprese e lavoratori). Così il sistema rischia di non reggere, sia dal punto di vista economico sia sociale, e rischia di aprirsi una fase di instabilità di lungo periodo.
Per questo, sottolinea ancora l’associazione dei consumatori, per evitare di finire intrappolati in questa spirale serve urgentemente intervenire sul prelievo fiscale: il 68% di prelievo fiscale potrebbe essere reso utile d’impresa al netto.
“In questo periodo pandemico sono emersi i lati discriminatori tra lavoratori” attacca ancora Federcontribuenti: “Chi ha ricevuto la cassa integrazione e chi non l’ha ricevuta, chi ha ricevuto una Cig pari all’80% dello stipendio chi solo il 40%, chi ha avuto il bonus dei 600 euro e chi non l’ha ricevuto”. Eppure le partite Iva arrivano a pagare circa il 48% in previdenza sull’imponibile tassabile, contro circa il 37% del lavoratore dipendente del commercio, pur versando circa il 10% in più e non gli sono stati riconosciuti gli stessi diritti.
Il reddito medio degli italiani è pari a 21.600 euro. Che sarà molto probabilmente dimezzato per gli effetti del Covid, per di più proprio quando stanno per arrivare circa 8 milioni di cartelle esattoriali per tributi non versati, 954 miliardi di debito fiscale cartolarizzato, e si prospetta un saldo e stralcio per 400 mld di cartelle esattoriali inesigibili. Questo significa che ci sono circa 554 miliardi esigibili.
Per questo Federcontribuenti chiede a gran voce che questi contribuenti esigibili non siano proprio le partite Iva chiamate a farsi carico del debito e del mancato reddito.
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